Gli si legge negli occhi e nei gesti l'amore che BabyD prova per gli animali. Soprattutto per quelli che ha sempre visto nella sua vita, da quando è nato. Non in casa, ma dai nonni. Ma tanto è bastato perché diventassero parte di sè.
E gli animali lo sentono tutto l'affetto. E si legge nei miagolii festosi di Nina, la gatta dei miei genitori, e nella sua coda nero-rossastra che si attorciglia sulle gambette di BabyD. Nel placido e goffo arrivare di Cicciogatto, come chiama lui il quattordicenne felino rosso, figlio della mia prima gatta Briciola. E nel suo stare immobile quando mio figlio sprofonda la sua faccia nel suo folto pelo per dargli un bacino. Nei bassotti degli altri nonni, soprattutto i più cuccioli, che appena lo vedono gli saltano con le zampette sulla pancia e lo leccano. E lui ride e gli pare così strano che gli diano tutti questi sbaciucchiamenti con la linguetta ruvida.
Non teme nemmeno quando il cane è più alto di lui. Il suo amore grande era anche la Babette, un segugio americano che lo superava di un bel po' in altezza, che si sedeva sulla sua sedia, dietro di lui e gli appoggiava la testona nera sulla spalla, che gli prendeva con delicatezza un pezzo di pane dalle manine. Quando è andata in cielo, lui mi ha detto che da grande diventerà un supereroe e la andrà a salvare.
Io da piccolina non ho mai avuto animali, eccetto i canarini; solo a dodici-tredici anni è arrivata una pallina pelosa bianca di nome Nick, una pastore maremmano che ci ha accompagnato per tanti tanti anni, ma non avevo con lui quella simbiosi, anche fatta di fisicità, che ha mio figlio con cani e gatti dei nonni. Forse è una predisposizione diversa di carattere, forse aver trovato gli animali già lì, averli vissuti fin dal primo sguardo lo ha reso più sensibile, gli ha fatto considerare una cosa normale, scontata, naturale stare insieme agli animali domestici.
Forse, essendo l'unico bimbo della famiglia, trova in loro dei piccoli alleati con cui giocare. Ed in effetti li tratta proprio come compagni di giochi.
E a casa, in mancanza di un peloso in carne ed ossa, ha scelto come gioco del cuore, quello con cui dormire la notte, proprio Bau, il bassotto di peluche.
Io da piccolina non ho mai avuto animali, eccetto i canarini; solo a dodici-tredici anni è arrivata una pallina pelosa bianca di nome Nick, una pastore maremmano che ci ha accompagnato per tanti tanti anni, ma non avevo con lui quella simbiosi, anche fatta di fisicità, che ha mio figlio con cani e gatti dei nonni. Forse è una predisposizione diversa di carattere, forse aver trovato gli animali già lì, averli vissuti fin dal primo sguardo lo ha reso più sensibile, gli ha fatto considerare una cosa normale, scontata, naturale stare insieme agli animali domestici.
Forse, essendo l'unico bimbo della famiglia, trova in loro dei piccoli alleati con cui giocare. Ed in effetti li tratta proprio come compagni di giochi.
E a casa, in mancanza di un peloso in carne ed ossa, ha scelto come gioco del cuore, quello con cui dormire la notte, proprio Bau, il bassotto di peluche.
Ciò che mi rende particolarmente felice di questo attaccamento agli animali di famiglia è che quello che si dà e che da loro si riceve è un bell'esempio di amore incondizionato e di rispetto reciproco, di amicizia, senza spazio e tempo, di attenzione verso gli altri. Come quando la gatta Nina ha fame e BabyD le mette le crocchette nella ciotola, imparando a prendersi cura di lei. Come quando la bassottina Tina lo segue la mattina presto per giocare a palla con lui e gli insegna a condividere i giochi.
È anche un esercizio di calma per lui che non sta mai fermo. Con cani e gatti diventa delicato, li accarezza piano, lui che pur è l'irruenza fatta bambino. Li affronta con delicatezza, come fossero una cosa delicata. Allo stesso modo di quando si avvicina ad un neonato e lo chiama <Amore>.
Forse perché davvero, con lo sguardo profondo di bambino, vede in loro l'Amore, quello con la A maiuscola.
È anche un esercizio di calma per lui che non sta mai fermo. Con cani e gatti diventa delicato, li accarezza piano, lui che pur è l'irruenza fatta bambino. Li affronta con delicatezza, come fossero una cosa delicata. Allo stesso modo di quando si avvicina ad un neonato e lo chiama <Amore>.
Forse perché davvero, con lo sguardo profondo di bambino, vede in loro l'Amore, quello con la A maiuscola.
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